IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Nel  procedimento  n.  1371/1993  a  carico  di Fabi Costantino il
 giudice dell'udienza preliminare nel corso  dell'udienza  preliminare
 del  30  marzo  1995 ha emesso la seguente ordinanza, dandone lettura
 alle parti.
    A seguito della richiesta di rinvio a giudizio avanzata  dal  p.m.
 Fabi  Costantino veniva tratto all'udienza preliminare per rispondere
 del reato di cui all'art. 278 del c.p. in  questa  sede  otteneva  di
 essere  ammesso,  con  il  consenso  della  pubblica  accusa, al rito
 abbreviato, ritenendo questo  giudice  definibile  il  processo  allo
 stato degli atti.
    In   sede   di   discussione   la   difesa   sollevava   eccezione
 d'incostituzionalita' dell'art. 278 del  c.p.  per  violazione  degli
 artt.  3,  27  e  97 della Costituzione nella parte in cui prevede un
 minimo edittale di pena di anni uno di reclusione.
    Sulla scorta  delle  risultanze  processuali,  in  particolare  la
 registrazione della seduta del consiglio comunale di Maniago tenutasi
 il  27  ottobre  1993 e la trascrizione integrale dell'intervento del
 consigliere Fabi Costantini, risulta  pacifico  che  l'imputato,  nel
 corso  di  tale seduta, nel mentre esprimeva il proprio convincimento
 sul venir meno  di  una  maggioranza  di  giunta,  incidentalmente  e
 reiteratamente,   divagando  sull'argomento  all'ordine  del  giorno,
 apostrofava  il  Presidente  della   Repubblica   con   l'espressione
 "campanaro  di  seconda  mano"  aggiungendo  "e'  uno  che  prende la
 pensione di magistrato di Corte Suprema avendo  fatto  il  magistrato
 per un anno" e che "ha parlato con Poggiolini per i farmaci ..".
    Ritenuto  che correttamente il fatto e' stato qualificato ai sensi
 dell'art. 278 del c.p. che sanziona l'offesa all'onore o al prestigio
 del Capo dello Stato, il giudice dell'udienza preliminare  e'  quindi
 chiamato  a  decidere  se  la  condotta contestata e sussistente, sia
 penalmente rilevante in quanto lesiva  del  bene  giuridico  tutelato
 dall'art.  278  del  c.p.,  dovendo, in caso affermativo, irrogare la
 pena prevista da detta norma.
    Le frasi pronunciate dall'imputato, in particolare  l'insinuazione
 e  l'allusione  a  connivenze  non meglio precisate tra il Capo dello
 Stato e l'ormai tristemente famoso Poggiolini per questioni attinenti
 ai farmaci, non vi e' dubbio che siano  state  dette  allo  scopo  di
 gettare  ombre  sull'onesta'  e  l'integrita'  morale del Presidente,
 tanto e' vero che  il  Fabi  concludeva  il  proprio  intervento  con
 l'esclamazione  "se  questo  e'  uno Stato ed ha un cosi' fatto Capo,
 sono orgoglioso di essere denunciato e di  prendere  le  manette  per
 aver detto queste parole".
    La   questione  avanzata  dalla  difesa  deve  pertanto  ritenersi
 rilevante   potendosi   ravvisare   nelle   espressioni    profferite
 l'idoneita' a menomare il prestigio ed il decoro del Capo dello Stato
 nella  piena  consapevolezza  e  volonta'  da  parte dell'imputato di
 recare offesa  sia  all'individualita'  privata  che  all'istituzione
 rappresentata dalla persona del Presidente.
    La  questione nei termini in cui e' stata prospettata deve inoltre
 ritenersi non manifestamente infondata apparendo il  minimo  edittale
 previsto  dall'art.  278  del  c.p.  assolutamente  sproporzionato in
 eccesso, proprio alla luce della mutata coscienza  sociale  e  morale
 rispetto  al  momento storico e culturale in cui e' entrato in vigore
 il codice penale. Non puo' che richiamarsi in proposito  e  recepirsi
 integralmente  le  considerazioni  gia' ampiamente svolte dalla Corte
 costituzionale nelle sentenze nn. 343 e 422 del 1993  e,  da  ultimo,
 nella   sentenza   n.  341  del  1994.  Dichiarando  l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 341 del c.p. nella parte  in  cui  prevedeva
 come  minimo  edittale  la  reclusione per mesi sei, la Corte infatti
 osservava come la discrezionalita' del legislatore nel determinare la
 quantita' e  qualita'  della  sanzione  penale  debba  in  ogni  caso
 rispettare  il  limite della raginevolezza e, piu' in generale, debba
 adeguarsi al principio di proporzionalita' tra le finalita'  statuali
 di difesa sociale e di prevenzione perseguite con l'irrogazione della
 pena  ed  i  sacrifici  imposti da questa sanzione estrema ai diritti
 fondamentali  dell'individuo,  concludendo  per  l'illegittimita'  di
 tutte  quelle  incriminazioni  che,  attraverso  la  sanzione penale,
 "producono danni alla persona ed  alla  societa'  sproporzionatamente
 maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
 tutela  dei  beni  e  valori  offesi  dalle  predette incriminazioni"
 (sentenza n. 409/1989).
    Sotto questo profilo se puo' ritenersi ragionevole  la  previsione
 di  un diverso trattamento sanzionatorio per il delitto di vilipendio
 del Presidente della Repubblica rispetto ai reati di cui  agli  artt.
 341,  594  e  595  del  c.p. in quanto l'art. 278 del c.p., lungi dal
 violare il principio  della  pari  dignita'  sociale  dei  cittadini,
 punisce  non solo la lesione ai beni comuni di ogni persona, ma anche
 quella al prestigio della istituzione, recando quindi,  l'azione  del
 colpevole,  offesa  alla  stessa personalita' dello Stato, non sembra
 tuttavia giustificabile che, in ragione della sola  plurioffensivita'
 del  reato,  alcuni  casi  di  minimale  valenza  per il tenore delle
 espressioni usate, il contesto in  cui  sono  state  pronunciate,  la
 qualita'  soggettiva  dell'autore  del  reato,  pur  determinando una
 lesione  oggettivamente  lieve  all'interesse   giuridico   tutelato,
 vengano sanzionati con pene cosi afflittive anche nel minimo edittale
 e  tali  da  consentire  addirittura  l'arresto in flagranza ai sensi
 dell'art. 381 del c.p.p.
    Una   sanzione   cosi'   sproporzionata   rispetto   all'effettiva
 offensivita'  del  fatto-reato verrebbe, invero, a contrastare con la
 finalita' rieducativa della pena che, come statuisce la stessa Corte,
 "non  puo'  essere  limitata  alla  sola  fase  dell'esecuzione,   ma
 costituisce   una   delle   qualita'   essenziali   e   generali  che
 caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l'accompagnano
 da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in
 concreto si estingue: tale finalita' rieducativa, implica pertanto un
 costante principio di proporzione  tra  qualita'  e  quantita'  della
 sanzione, da una parte, ed offesa, dall'altra" (sentenza n. 313/1990,
 nn. 343 e 422 del 1993).
    In  particolare  la  stessa  Corte  nella sentenza n. 343 del 1993
 richiamata  dalla  sentenza  n.  341/94,  riconosce  che  "la  palese
 sproporzione  del sacrificio della liberta' personale provocata dalla
 previsione di una sanzione penale manifestamente  eccessiva  rispetto
 al   disvalore  dell'illecito  produce  una  vanificazione  del  fine
 rieducativo della pena prescritto dall'art. 27,  terzo  comma,  della
 Costituzione,   che  di  quella  liberta'  costituisce  una  garanzia
 istituzionale in relazione allo stato di detenzione".
    Sulla base di questi presupposti si puo' pertanto affermare che la
 previsione di anni uno di reclusione come minimo  edittale  e  quindi
 come  pena  inevitabile  e  non  superabile anche per le piu' modeste
 infrazioni dell'art. 278 del c.p. non e' piu' rispondente  al  comune
 sentire  e che di questo mutato contesto sociale, culturale, morale e
 giuridico deve necessariamente tenersi  conto  in  quel  giudizio  di
 bilanciamento  di  interessi  che  presiede alla determinazione della
 misura della sanzione penale.
    L'eliminazione del minimo edittale, gia' statuito per il reato  di
 oltraggio,  consentirebbe  pertanto,  ed  in  attesa dell'auspicabile
 intervento del  legislatore,  di  riaffermare  in  tutti  i  casi  il
 principio  di proporzione tra la effettiva lesione del bene giuridico
 tutelato ed una  risposta  sanzionatoria  adeguata  e  conforme  alla
 funzione rieducativa della pena.